“Il mio bisnonno Giacinto viveva al Podere Bagnolo, un chilometro e mezzo sotto la fortezza di Montalcino. Oltre alla normale coltivazione del podere – viti ,olivi, allevamento bestiame – faceva anche l’ ortolano. Il podere era circondato da tante piccole sorgenti e rigagnoli d’acqua che, insieme alla posizione riparata, permettevano la coltivazione di tante primizie. Era considerato un luogo da orti. Durante gli anni della seconda guerra mondiale nel podere furono ospitate tante famiglie di Montalcino. La posizione, meno esposta e più riparata, era ritenuta più sicura da bombe e granate rispetto alle case del paese. Inoltre, nel podere, in quel periodo di grande miseria, fra ortaggi, pane fatto in casa e animali da cortile c’era sempre qualcosa da mettere sotto i denti. Fu così che negli anni del conflitto mondiale al Bagnolo arrivarono a viverci 45 persone. Oltre ai componenti del nucleo familiare vi erano ospitate le famiglie Santini, Filiziani, Boccardi ed altre di cui non siamo riusciti a ricostruirne l’identità. Molti dormivano nel tinaio, nel monte del carbone o nella stalla delle bestie. Tutti nella fuga dal paese avevano portato via i beni più preziosi. Il mio bisnonno aveva preso un piccolo forziere in legno che conservo ancora oggi e vi aveva riposto i preziosi e gioielli di tutti. Dopodiché, prendendo le opportune precauzioni per la conservazione (sigillandolo non so come), lo aveva riposto in una buca profonda e ricoperto con la terra. Sopra vi pose i bulbi della propria coltivazione di zafferano e per tre, quattro anni nessuno lo vide più. Passarono i tedeschi, il fronte, nessuno lo trovò, mentre lo zafferano compiva regolarmente i propri cicli. Finita la guerra scavò, estrasse il tesoro e alla presenza di tutti i capofamiglia ad ognuno riconsegnò i propri tesori. Tutti volevano ricompensarlo sia per l’ospitalità di tanti mesi che per aver salvato loro la vita e i loro averi. Giacinto non volle nulla da nessuno se non un abbraccio. Quei bulbi, anzi i figli di quei bulbi, che sono passati da Giacinto ad Ugo, da Ugo a Sergio e da Sergio a me, non rappresentano solo un prodotto ma un modo di essere dove una stretta di mano vale più di un foglio firmato da un notaio e l’altruismo e l’aiuto verso chi ha bisogno facevano e fanno parte di una cultura indissolubile. Questo zafferano rappresenta per noi anche un modo di pensare, custodire e tramandare le conoscenze e le usanze. Non è un retaggio bigotto e superato ma bene inestimabile per affrontare il futuro e la sua frenetica trasformazione”
Massimo
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