Il tuo carrello è attualmente vuoto!
Tag: Zafferano
TORTA DI FAVE
Si prepara per prima cosa un impasto con 300 gr. di farina; 60 gr. di burro fresco; due uova intere; una presa di zafferano (dose a piacere); un pizzico di sale; un sentore di pepe.
Una volta preparata metteremo questa pasta al fresco, addirittura in frigorifero, per una buona mezz’ora. In un tegame, possibilmente di coccio, prepareremo gli ingredienti per il ripieno e precisamente circa 500 gr. di fave fresche sgusciate; oggi potremo usare tranquillamente quelle surgelate, anche fuori stagione purché non troppo grandi. Le fave verranno messe a cuocere con poca acqua salata con un trito, piuttosto abbondante, di prosciutto né grasso né magro. A parte mescoleremo 300 grammi di ricotta freschissima con 100 grammi di formaggio parmigiano grattugiato e 50 gr. di formaggio emmenthal tagliato a cubetti insieme a due uova intere freschissime che avremo accuratamente sbattuto.
Una volta che le fave saranno cotte, dopo averle fatte ritirare, quasi del tutto, il loro liquido di cottura le mescoleremo ai latticini. Avremo diviso in due porzioni la pasta a suo tempo preparata: una più grande di circa ¾ dell’insieme, con cui, accuratamente fodereremo uno stampo copiosamente imburrato, che poi riempiremo con l’impasto preparato appositamente per il ripieno avendo infine la cura di ricoprirlo con fette molto sottili di emmenthal, circa altri 50 gr., quasi da fare al tutto una specie di tetto di protezione ed, a conclusione, completeremo con l’altro terzo della pasta che verrà posta, sul tutto a mò di coperchio. Una volta così completata, bagneremo con una pennellessa intrisa di rosso d’uovo il coperchio della “torta” che metteremo in forno, a circa 180 gradi a cuocere per un minimo di 45 minuti; se il “coperchio” tendesse a scurire troppo avremo l’accortezza di proteggerlo con un foglio di carta di alluminio in modo che non prenda troppo colore. Il vino d’accompagnamento preferito per questo genere di torte risulta, quasi sempre un bianco fresco. Esperienza preziosa con un “Bianco del Beato”, (Colombini), portato in tavola a 10 gradi centigradi di temperatura.
(La ricetta proviene dai manoscritti rinascimentali; ricordata dal Messisburgo e dallo Scappi – Ripresa da il “Ricettario del Còco Sanese” di Giovanni Righi Parenti)
Bastano sei fili
“Da inizio novecento i miei avi vivevano al podere Aiole, fra Montalcino e l’Abbazia di S. Antimo. Per acquistarlo avevano pagato 7 lire. All’Aiole il bisnonno Giovanbattista e la sua famiglia allevavano vitelli, vacche, maiali, pecore, animali da cortile di ogni specie, coltivavano le viti e gli ulivi e non ultimo avevano una piantagione di zafferano. Come in tutti i poderi circostanti era usanza che, una volta a settimana, passasse il troccolone. Era un personaggio molto popolare che arrivava con il barroccio carico di ogni mercanzia. All’Aiole ci passavano due: Marcoccio e la Calabresa Maria. Vendevano o meglio barattavano l’acciughe, l’aringhe, il baccalà con le uova, il formaggio, le pelli di coniglio e lepre (i Pecci so stati tutti grandi cacciatori), le piume delle nane e dei loci, lo zafferano essicato che a Montalcino era prodotto in tanti poderi. Iniziavano estenuanti contrattazioni fra il commerciante delle campagne e la massaia. L’unica cosa sul cui valore non discutevano era lo zafferano che diceva Marcoccio: “profumato come il vostro un’esiste, bastano sei fili per fa la trippa alla montalcinese” (antichissimo piatto di Montalcino fatto con trippa di vitello e zafferano in bianco senza pomodoro). Di anni ne sono passati, dall’Aiole la famiglia s’è spostata al Podernuovo e poi a Montalcino, i bulbi e i loro eredi sono passati a Checco, a Enzo e poi a me ma ci hanno sempre seguiti e io, caparbio, seguo le solite pratiche colturali, produttive e conservative”.
Alessandro